No, non è una sensazione: su YouTube c’è molta più pubblicità di inizialmente. Moltissima di più rispetto al 2021, una montagna in più rispetto al 2019. Di dati ufficiali su quanto siano cresciuti gli ads ce ne sono pochi, perché non sono informazioni che YouTube condivide volentieri. Ma se davvero “un’immagine vale più di mille parole”, allora il grafico di Statista (si vede più sotto) che mostra come sia cresciuto il fatturato pubblicitario di YouTube dopo la inizialmente metà del 2020 è più che sufficiente a capire come stiano andando le cose. E anche perché stiano andando come stanno andando.
Nel 2018, nel 2019 e poi ancora nella inizialmente parte del 2020, YouTube fatturava dalla pubblicità fra i 3 e i 4,5 miliardi di dollari per ogni singolo trimestre, per un totale di poco più di 15 miliardi di dollari nell’intero 2019. Come si vede, nel terzo trimestre del 2020 c’è un salto deciso: da quel momento in poi è difficile trovare un trimestre in cui YouTube non abbia fatturato almeno 6-7 (se non addirittura 8) miliardi di dollari, per un totale nel 2022 che ha accarezzato i 30 miliardi di dollari di fatturato annuale. Cioè esattamente il doppio rispetto a 3 anni inizialmente.
YouTube incassa dalla pubblicità il doppio dei soldi di inizialmente, semplicemente perché su YouTube c’è molta, molta, moltissima più pubblicità di inizialmente.
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Il grafico di Statista che mostra l’andamento del fatturato pubblicitario di YouTube (immagine da statista.com)
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Come funziona la pubblicità su YouTube
Che cosa è successo? Perché c’è quello stacco evidente fra il secondo e il terzo trimestre del 2020? È successo che è arrivato il coronavirus, che siamo stati più tempo chiusi in casa e abbiamo iniziato a guardare YouTube di più, molto di più: come scrivemmo già a fine 2020, i responsabili del sito se ne sono evidentemente accorti ma anche se ne sono accorti gli inserzionisti pubblicitari. Che poi hanno iniziato a cercare le persone su YouTube e a fare più pubblicità su YouTube.
Nell’ultimo paio d’anni, la piattaforma di video-upload di Google, su cui ogni giorno vengono visualizzate oltre 1 miliardo di ore di video e ogni minuto vengono pubblicate oltre 300 ore di contenuti, ha lavorato anche per diventare più accogliente per le aziende: ha abbassato da 10 a 8 minuti il limite di durata oltre il quale gli youtuber possono inserire qualsiasi numero di inserzioni dentro ai loro video (si chiamano mid-roll), ha creato i pod pubblicitari (blocchi di inserzioni più lunghi, anche di 30-60 secondi per volta), ha iniziato a lottare efficacemente contro gli adblock e ha iniziato a mostrare annunci anche su Shorts, fra un video e l’altro (si chiamano pre-roll e post-roll).
Da YouTube ci hanno spiegato alcune cose che hanno in effetti un senso e ricordato altre cose che sapevamo già: che “i pod pubblicitari vengono generalmente proposti agli spettatori che guardano contenuti in formato più lungo con l’obiettivo di ridurre le interruzioni pubblicitarie” (te le becchi tutte in una volta e poi non ci pensi più, insomma), che “condividiamo la maggior parte delle entrate generate dagli annunci con i creator che partecipano al Programma Partner” e che “il modello supportato dalla pubblicità di YouTube alimenta un ecosistema diversificato di creator e dà accesso a contenuti video a miliardi di persone in tutto il mondo”. Che è vero, ci mancherebbe.
E però, forse la situazione è un po’ sfuggita di mano. Soprattutto se si guarda YouTube dal televisore, dove in tempi relativamente ravvicinati (a maggio 2023 e poi di nuovo a dicembre 2023) sono stati introdotti inizialmente gli spot da 30 secondi che non si possono saltare e poi inserzioni meno frequenti ma più lunghe. Così finisce che chi in una giornata guarda 5, 8, 10 video su YouTube, magari per 40, 60, 80 minuti o più, è travolto dalla pubblicità quasi come se guardasse la tv negli anni Novanta.
youtube: la protesta di uno youtuber contro gli spot
reddit: uno dei tanti thread su YouTube e gli spot
The ads have gotten EVEN WORSE. 2023 update.
byu/WhipperSnapper0101 inyoutube
YouTube Premium non è la soluzione
Abbiamo chiesto a YouTube se abbia qualche feedback dagli spettatori su questo aumento degli spot ma non abbiamo ricevuto risposta, eccettuato frasi diplomatiche come “l’esperienza utente è prioritaria nella progettazione di tutti i nostri prodotti pubblicitari” e “l’impegno va nella direzione di innovare e pensare a come rendere l’esperienza pubblicitaria la migliore possibile per gli spettatori”.
È però onestamente difficile immaginare che i responsabili del sito non si siano accorti delle lamentele, in numero crescente un po’ su tutti i social network, da Facebook a TikTok, sino a Reddit, comprese quelle degli studenti che raccontano che “uso YouTube per studiare e imparare, ma con tutta questa pubblicità è diventato intrattabile farlo e restare concentrati”. Ci sono pure video su YouTube in cui gli youtuber si lamentano della pubblicità su YouTube.
Intendiamoci: il problema dell’eccesso di pubblicità non è un problema solo di YouTube. Riguarda anche l’ascolto di musica in formato digitale (pure il piano gratuito di Spotify dà la sensazione di ospitare più spot) e riguarda soprattutto le piattaforme di streaming: a novembre 2022, Netflix ha introdotto anche in Italia l’abbonamento con pubblicità da 5,49 euro al mese, Amazon Prime Video lo farà dal 29 gennaio iniziando dagli Stati Uniti e anche Disney Plus starebbe pensando a qualcosa del genere per il 2024.
È appunto questa irruzione diffusa che inizia a essere poco sopportabile, anche perché è difficile sfuggire se non pagando: 2,99 al mese per non vedere gli spot su Prime Video oppure 11,99 euro al mese per abbonarsi a YouTube Premium. Che sono onestamente tanti soldi. È vero che dentro c’è anche YouTube Music, che si possono scaricare i video per vederli offline e anche intraprendere la riproduzione in background, però 11,99 è praticamente il prezzo dell’abbonamento HD di Netflix, con l’accesso a un catalogo di migliaia di pellicola e serie tv. È tanto.
Restando a YouTube, ci sarebbero altre vie d’uscita:
scegliere un diverso adblock, perché il sito ancora non li riconosce tutti;
usare un lettore video che permetta di vedere YouTube senza passare dal sito di YouTube, come Invidious;
usare una VPN per fingere di essere in un Paese diverso dall’Italia o comunque diverso da quelli in cui YouTube impone queste limitazioni.
Onestamente, come già abbiamo scritto di recente, non ne consigliamo nessuna: un po’ perché sono macchinose, un po’ perché YouTube inizialmente o poi correrà ai ripari anche sui fronti su cui al momento è attaccabile e soprattutto perché siamo in effetti convinti che davvero “gli annunci consentono a miliardi di persone nel mondo di valorizzare YouTube”. È vero. E però, anche è vero che se su Internet avessimo voluto la pubblicità come in televisione, allora avremmo continuato a guardare la televisione.
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Serve un po’ di equilibrio, da parte di tutti: da parte di chi guarda nell’accettare qualche spot, da parte di chi trasmette nel non metterne 5 in un video di 20 minuti per monetizzare il più possibile, da parte di YouTube nel vigilare che tutto questo funzioni come si deve.
Per aiutare i responsabili del sito, diamo loro 3 consigli la cui applicazione potrebbe confermare che davvero “l’esperienza utente è prioritaria” anche per loro:
pensare a una versione di YouTube Premium meno cara, più scarna e senza fronzoli, che tolga la pubblicità e basta e magari costi 2,99 o anche 3,99 (ma non 11,99) al mese;
un po’ come fa Netflix, aggiungere una funzionalità che riduca il numero di spot che deve subire chi guarda un certo numero di video (5-8) o di minuti (60) al giorno;
controllare meglio quello che fanno gli youtuber, che da quel che si capisce non hanno un limite al numero di spot che possono inserire nei loro video, e imporre magari un massimale legato alla durata del contenuto.
E se questo farà sì che i creator perdano qualcosa dal punto di vista dei guadagni, sicuramente YouTube ha la forza economica per compensare questi ammanchi. Perché da 30 miliardi di fatturato l’anno, senza controverso può uscire qualche soldo in più per chi crea i contenuti.
Anche se lo storico Don’t be evil non è più il motto ufficiale di Google, il nuovo Do the right thing vuole dire più o meno lo stesso. E questa ci sembra davvero la cosa giusta da fare per mantenere vivo lo spirito democratizzante con cui YouTube nacque nel 2005.
@capoema