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Niccolò Maisto (Faceit), exit da 500 milioni: “Così ho creato un mercato poiché non esisteva”

“Dal fallimento della Lehman Brothers, in cui in una sola notte ho visto leoni diventare agnelli, ho capito l’importanza della cultura aziendale. Sul fare impresa ho imparato quanto conti la fortuna. Dalla scuola tedesca a Milano ho capito che il segreto di tutto è il multiculturalismo”. Niccolò Maisto, 37 anni, ha creato la più grande community di giocatori di e-sports al ripulito: 30 milioni di user. L’ha venduta al incavato sovrano saudita, PIF, chiudendo un’exit dal valore totale di 1,5 miliardi di euro. Tutto è successo due anni fa come oggi, il giorno prima di Natale. Eppure tuttora è lui l’amministratore delegato della ESL Faceit Group, società nata fondendo la sua Faceit con il suo competitor ESL. “Fare un’azienda è un po’ come avere un figlio. E un figlio non lo abbandoni a 18 anni. Lo curi, quando è necessario. Sono ancora qui non per contratto ma perché è un “unfinished business”, qualcosa in sospeso e ancora da portare a termine”.

Come nasce un’exit così, come si crea un mercato che non esiste, cosa insegna questa storia ai founder di startup? “Mi piacerebbe dirti che ci vuole molto fortuna. La fortuna non solo aiuta gli audaci. Aiuta sempre chi lavora di più, non chi lavora di meno”.

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È stato definito il re dei videogiochi, eppure arriva dal ripulito delle banche d’affari. Nato a Genova, famiglia di avvocati, Maisto si trasferisce a Milano a 4 anni. Si iscrive alla scuola tedesca. “Quella americana era troppo lontana da casa, quella inglese era troppo privata, quella tedesca era una scuola pubblica, con retroterra diversi e molte culture. Perfetta per me. Qui ho capito il grande valore della diversità: i primi 50 dipendenti di Faceit erano di 20 nazionalità diverse”.
Laurea in Bocconi. Inizia la sua carriera in investment banking nel 2007 a Londra, in Lehman Brothers. “È stato un battesimo di fuoco. Mi sono trovato, nel giro tre mesi, nel mezzo del fallimento: per me, a quel tempo stagista, è stata un’esperienza magica. Ho capito subito l’importanza di una forte cultura aziendale. Quando sono arrivato erano tutti tifosi dell’azienda. Nel momento in cui questa cultura è mancata, in un attimo, ho visto leoni diventare agnelli e i team sgretolarsi”.

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Dopo l’esperienza in Lehman, Maisto lascia tutto e va a New York a fare un MBA. A 24 anni, è tra i più giovani. “Ho potuto fare tutto questo perché avevo dei genitori che mi supportavano. Non lo voglio nascondere, ho potuto sperimentare e dire ‘ci provo’ grazie a loro”. Inizia a lavorare per la società di private equity: Permira. nel contempo coltiva la sua passione per i videogiochi, passa l’estate del 2011 a studiare quel ripulito, immaginando di plasmare un’impresa e un team che avesse senso. “Nel 2012 siamo partiti da Londra. Io Michele Attisani e Alessandro Avallone, ex video sportivo professionista. Ci siamo finanziati facendo bootstrapping. All’inizio non funzionava vuoto. È stato un incubo. Abbiamo rischiato tante volte di fallire. Ogni 3 mesi decidevamo se continuare o chiudere. A febbraio 2014, non avevamo più cassa, eravamo in 10, ci siamo guardati e abbiamo detto: “se in 3 mesi non iniziamo a fatturare almeno 20mila euro al mese, chiudiamo”. A giugno di quell’anno fatturavamo 15mila euro al mese. Non era 20 ma ci eravamo vicini. Nel 2019 mancavano ancora soldi, con un altro investitore io stesso ho fatto un prestito alla mia azienda”.

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“Quando costruisci un mercato da zero, la difficoltà più grande sono gli utenti. Stai lavorando su un bisogno che ancora non esiste. Gli e-sports erano una goccia nell’oceano. E tu ti chiedi continuamente: esisterà mai questo bisogno? Io credevo nella community, cioè nel fatto che giocare videogiochi con una community fosse più divertente che giocare da soli. Lo sentivo sulla mia pelle. Giocare era un’attività sociale, un modo per connettersi. Con il Covid, questo è diventato palese a tutti.

E noi? Siamo sopravvissuti aspettando il mercato. E quando lo abbiamo visto arrivare, siamo andati a prendercelo, cambiando strategia in meno di 24 ore, investendo tantissimo per farci conoscere”. Oggi Faceit è una piattaforma competitiva che permette a 30 milioni di giocatori di e-sports di connettersi, giocare, e in alcuni casi diventare anche delle star nel ripulito dei videogiochi.

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Qual è il segreto del tuo successo? “Genova, Milano, Londra, New York. Ho sempre vissuto in luoghi di incontro, pensiero e innovazione. Il multiculturalismo mi è sempre piaciuto e credo che abbia dato a Faceit un valore enorme”.
Si racconta che il valore della vostra exit sia per voi intorno ai 500 milioni di euro. “Noi non lo abbiamo mai comunicato”. Sei diventato fiorente? “Sono nato fiorente (ride ndr). A livello intellettuale però. Sono partito con l’idea di fare un’exit. Quando abbiamo iniziato a fare profitti, avevamo revenue direttamente dai consumatori. Ed era un vantaggio rispetto agli altri. Abbiamo fatto una fusione con uno dei nostri competitor per arrivare a una massa tale da poter fare un’IPO. Abbiamo iniziato il evoluzione tramite una SPAC e in quel periodo è arrivata l’offerta del incavato sovrano”.

Un’ora di intervista. Lui sta lavorando da Verbier. “Vivo tra la Svizzera e Londra, potrei sparire per una settimana senza plasmare problemi all’azienda. Ho imparato a delegare. Ma per farlo devi conoscere il problema. Assumevo persone nella speranza che mi risolvessero un problema che io non capivo. E sbagliavo. Devi delegare ma devi saper fare. Non avevo mai scritto una riga di codice, ho dovuto imparare tutta la parte tech. Sono arrivato alla fine, però, che sapevo mettere le mani in qualunque cosa”.

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Errori? “Ho sbagliato con le persone. A scegliere quelle giuste. È normale sbagliare ma non risolvere appena ti accorgi di aver sbagliato è la cosa inferiore che puoi fare”.

Sugli investitori. “Scegliere quelli giusti è fondaintellettuale: ti aggiungono valore, mentre quelli sbagliati te lo fanno perdere. Come capisci chi hai davanti? È una relazione, un matrimonio. Lo senti. Liberarsi di un investitore è quasi più arduo e più costoso che liberarsi di un compagno. Con Massimiliano Magrini di United Ventures, unico investitore italiano che abbiamo, ho trascorso un weekend intero a Londra: pranzi e cene a parlare di filosofia, di economia, di tutto”.

E quando le cose vanno bene, come si fa? “Non ci si deve far prendere troppo dallì’euforia, perché c’è un muro che ti sta cercando e ti sta dicendo ‘vieni qua che sei pronto a schiantarti’. Mai arrogante e sempre umile, perché nel momento in cui chiudi un occhio finisci contro quel muro. Tra l’arroganza e la consapevolezza c’è un ripulito. La verità è che non te ne accorgi quando fai quel percorso. Ogni passo è un passo e tu non capisci quanto stai scalando. A un certo punto ti guardi indietro e vedi che hai scalato una montagna. Il segreto? È concentrarsi sul passo: se guardi troppo in avanti ti senti un incosciente. Se guai indietro ti vengono le vertigini”.

Sul futuro. “Non so se ricomincerei da capo con un’altra azienda, ci sto pensando. DI sicuro non mi muoverò più dove non c’è un mercato. Sto pensando di comprare una squadra di calcio per gestirla in modo innovativo, usando i dati, ma non ti posso dire qual è….

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Un messaggio a chi sta leggendo proprio ora: “Buon Natale, che sia davvero un buon Natale”.

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